"Porto addosso tutte le ferite delle battaglie che ho evitato".
Fernando Pessoa coglie in queste parole una verità silenziosa e potente. Quelle battaglie che non abbiamo combattuto – per paura, per mancanza di strumenti, per amore – ci segnano comunque. Restano dentro di noi come impronte invisibili, trasformandosi in schemi disfunzionali: modi ripetitivi di pensare, sentire e reagire, che ci fanno inciampare sempre nello stesso punto, anche quando cambiano i luoghi e i volti.
Questi schemi nascono quando, nell’infanzia, bisogni fondamentali come l’accoglienza, la protezione, la validazione o l’autonomia non vengono soddisfatti. In quei vuoti, impariamo strategie di sopravvivenza: essere perfetti per meritare amore, controllare per sentirsi al sicuro, annullarsi per essere accettati. Con gli anni, quelle strategie diventano copioni interiori che plasmano le nostre relazioni e il nostro modo di percepirci. Beck li ha chiamati “schemi cognitivi negativi”, Young li definisce “trappole di vita”. Io li vedo come paesaggi emotivi interiori, in cui ci muoviamo senza rendercene conto.
L’immagine che accompagna questo testo – un mosaico di schermi che riflettono lo stesso occhio in una sequenza ipnotica – nasce da una mia fotografia, e rappresenta proprio questo: la ripetizione, la sensazione di essere osservati da dentro, da qualcosa che ci precede e ci condiziona. Ogni monitor è una finestra deformata dello stesso sguardo. Cambiano i contorni, ma il centro resta identico: uno stesso nodo emotivo che si ripete. È così che funziona lo schema: ti fa vedere sempre la stessa scena, anche se cambi palco e attori.
A volte lo schema è una voce che dice “non vali abbastanza”, altre è la paura che l’amore finisca da un momento all’altro. È come vivere su un pavimento che scricchiola, o indossare una maschera così a lungo da dimenticarne il peso.
Modificare questi copioni non è facile. È come imparare una nuova melodia dopo anni di una stessa nota stonata. La Schema Therapy unisce strumenti diversi per questo percorso: consapevolezza, riscrittura simbolica, azioni nuove. Guardare lo schema con occhi più liberi. Rivivere le emozioni in modo trasformativo. Agire in modo diverso anche quando fa paura. Un passo alla volta.
Ma il cambiamento spaventa. Perché gli schemi, pur dolorosi, sono noti. Sono case vecchie in cui sappiamo dove mettere i piedi. La Gestalt ci insegna che ogni trasformazione autentica passa da una soglia di resistenza. Prima dell’apertura, spesso c’è ansia. Evitamento. Difesa. È normale. È umano.
Cambiare richiede coraggio. Non quello eclatante, ma quello umile e quotidiano di chi decide di non restare intrappolato. Come diceva Viktor Frankl, “quando non possiamo cambiare una situazione, siamo sfidati a cambiare noi stessi”. E in questo cambiamento ci si scopre. Si riscrive la storia. Si smette di sopravvivere per cominciare a vivere.
Come psicologa, il mio compito non è offrire soluzioni rapide, ma accompagnare le persone in questo attraversamento. Verso una versione di sé più autentica, più libera. Non perfetta, ma viva.
Perché, come scriveva Rilke, "Il solo viaggio autentico è quello verso l’interno".
E in quel viaggio, anche i passi più piccoli possono aprire sentieri impensati.
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