Passa ai contenuti principali

Coltivare per nutrirsi di parole preziose


words photo gbscavuzzo


Se vi chiedessi quali sono le parole che utilizzate di più nell'arco delle vostre giornate , sapreste rispondermi?

La mia  domanda è  una pura provocazione,  che ha l'intento di  indirizzarvi  o meglio accompagnarvi verso  una riflessione psicologica sull'uso maldestro o agile, impacciato o disinvolto , autentico o artefatto, sicuro o insicuro consapevole o meno sull'uso delle parole. 

Ognuno di noi è anche le parole che sceglie e a ricordarcelo è il grande scrittore americano Raymond Carver quando scrive: "Le parole sono tutto ciò  che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste " e io aggiungo preziose, nel senso che conferiscano valore anziché disvalore alla comunicazione.

Le parole copiano il mondo e lo modellano, oltre alla sonorità hanno   fisicità e corporeità.

Qual' è la statura delle parole di cui facciamo uso? che tipo di suoni scegliamo da donare sia agli altri  sia noi stessi:  bassi, alti, gravi, acuti?

Quale valore diamo alle parole con le quali ci relazioniamo con il nostro partner, i nostri  figli, i nostri amici, il nostro datore di lavoro ? e  soprattutto, quali parole scegliamo per dialogare con noi stessi o quello che noi psicologi chiamiamo self talk (dialogo con se stessi)?

In effetti, le parole che deliberatamente o abitudinariamente utilizziamo, influenzano il modo in cui ci sentiamo. Risulta funzionale, al nostro benessere comunicativo, prestare  attenzione al modo in cui parliamo a noi stessi, infatti, può capitare di essere offensivi quando ci parliamo, svalutandoci o giudicandoci e allo stesso modo esserlo anche con gli altri.

Occorre adottare, a mio avviso,  una sorta di manutenzione sulle parole, bisogna essere contadini  della parola, perché contadini vi chiederete? i contadini si impegnano giorno dopo giorno, instancabilmente, sanno e conoscono che dal momento in cui coltivano un terreno incolto per prepararlo alla coltura al momento in cui cresce una pianta o un frutto, passa molto tempo, e occorre necessariamente un impegno consapevole e fattivo di costanza e fatica.

E allora, il semplice fatto di coltivare  anziché  una parola una  parola  preziosa implica un lavoro faticoso,  ma che  alla fine ci da  forza e nutrimento . Tocca a tutti noi  averne cura e farlo.

Suggerisco ai più curiosi sul tema, il godibilissimo libro di Vera Gheno Il potere alle parole. Perché usarle meglioedito dalla casa editrice Einaudi.


Commenti

Post popolari in questo blog

Aspettative: mettere a fuoco ciò che conta davvero

 “ " Liberarci dalle aspettative degli altri, per restituirci a noi stessi.” Queste parole della scrittrice americana Joan Didion sembrano racchiudere un segreto antico e potente, che riecheggia in ciascuno di noi quando ci troviamo intrappolati nel labirinto di ciò che dovremmo essere . È un invito, quello della  Didion, a ritornare al nucleo della nostra autenticità, a spezzare quelle catene invisibili fatte di approvazioni, giudizi e standard che, silenziosamente, ci allontanano da noi stessi. Le aspettative sono ingannevoli. All’inizio sembrano una bussola, un faro che ci guida verso ciò che desideriamo. Ma troppo spesso, anziché essere una forza propulsiva, diventano una trappola emotiva. Ci ritroviamo a inseguire ideali irrealistici, pensando che la felicità sia un premio da guadagnare, qualcosa che ci aspetta dopo . Dopo un successo, dopo un cambiamento, dopo un traguardo. E così, anziché vivere il presente, ci immergiamo in un continuo rimandare, inseguendo un’asticel...

Sempre la stessa scena: la vita nei circuiti invisibili dello schema

  "Porto addosso tutte le ferite delle battaglie che ho evitato". Fernando Pessoa coglie in queste parole una verità silenziosa e potente. Quelle battaglie che non abbiamo combattuto – per paura, per mancanza di strumenti, per amore – ci segnano comunque. Restano dentro di noi come impronte invisibili, trasformandosi in schemi disfunzionali: modi ripetitivi di pensare, sentire e reagire, che ci fanno inciampare sempre nello stesso punto, anche quando cambiano i luoghi e i volti. Questi schemi nascono quando, nell’infanzia, bisogni fondamentali come l’accoglienza, la protezione, la validazione o l’autonomia non vengono soddisfatti. In quei vuoti, impariamo strategie di sopravvivenza: essere perfetti per meritare amore, controllare per sentirsi al sicuro, annullarsi per essere accettati. Con gli anni, quelle strategie diventano copioni interiori che plasmano le nostre relazioni e il nostro modo di percepirci. Beck li ha chiamati “schemi cognitivi negativi”, Young li definisce...

Giustificarsi: la prigione invisibile del giudizio altrui

Nella ricerca continua di comprensione e approvazione, giustificarsi è diventato un riflesso, un tentativo costante di difendere la propria identità. Spesso, però, ciò nasconde una complessità psicologica legata al nostro bisogno di accettazione, persino da parte nostra. Giustificarsi è come aprire la porta al giudizio altrui, costruendo una prigione invisibile fatta di spiegazioni non richieste e ansie silenziose.  Perché sentiamo l’esigenza di giustificarci? Non si tratta solo di difenderci; in realtà, spesso cerchiamo di rassicurarci rispetto all'immagine che temiamo non venga accettata. Giustificarci diventa così una risposta al timore di essere giudicati o di non essere abbastanza, generando un circolo di vulnerabilità. C’è differenza tra spiegare e giustificarsi: mentre spiegare è comunicare con chiarezza, giustificarsi è una reazione all’ansia di giudizio, un doppio legame in cui, più cerchiamo di dimostrare la nostra innocenza, più sembriamo colpevoli. Una metafora calzante...