Passa ai contenuti principali

Promuovere la body positivity per evitare il body shaming

Dettaglio Piazza Vergogna Palermo  photo gbscavuzzo

Si sa, gli inglesismi ormai fanno parte del nostro lessico e a volte la nostra lingua italiana viene soppiantata da parole inglesi, è il caso del body shaming, l'espressione inglese  composta dal sostantivo body ( corpo)  e dal verbo sostantivato shaming (il far vergognare qualcuno).  E' dal 2018 che questo neologismo  è stato accolto nella lingua italiana e  il vocabolario Treccani   lo definisce :  "il fatto di deridere qualcuno per il suo aspetto fisico" e si concretizza con insulti reiterati di varia gravità, crudeltà e intensità , ma anche allusioni, giochi di parole, doppi sensi e addirittura ingiurie rivolte a mettere in evidente imbarazzo la vittima.

Si tratta di una vera e propria violenza psicologica, un' attitudine scomoda e  intollerabile per coloro che la praticano, anche involontariamente, e può deviare  verso forme  di bullismo vero e proprio e in situazioni estreme può provocare gravi traumi emotivi, soprattutto durante l'adolescenza. 

Il body shaming è praticato da genitori, fratelli, amici, nemici e compagni di scuola ed è spesso, ma non solo,  rappresentato dai  media e  agito nei  social network. 


Esistono diverse e variegate  forme di body shaming, le più diffuse sono : il fat shaming  che riguarda il giudicare in maniera offensiva le persone con qualche chilo di troppo  o che hanno malattie come l'obesità , e il thin  o skin shaming riferito alle persone magre o con veri e propri disturbi alimentari.

La vergogna  e il disagio di chi è vittima di body shaming  è alimentata   dalle offese che  fungono da veri e propri acceleratori di disistima. 
Il mio suggerimento è duplice da un lato promuovere il movimento della  body positivity , dall'altro  educare e sensibilizzare  il nostro sguardo a spogliarsi di pregiudizi  e contemporaneamente  alimentare la credenza che il peso non determina il nostro valore, ma soprattutto veicolare l'idea che l 'ossessione per l'aspetto fisico è una trappola per  qualunque taglia .  

Per coloro che vogliono sapere di  più sul Fat shaming , suggerisco la lettura del libro Fat Shame: lo stigma del corpo grasso di Amy Erdman Farrell (di recente pubblicazione 2021) edito  dalla casa editrice Tlon .


 

Commenti

Unknown ha detto…
Argomento più che mai attuale. Viviamo in un'epoca in cui i rapporti tra coetanei si basano quasi sempre e soltanto sull'apparenza e raramente sulla sostanza. Non si fa amicizia più per affinità elettive ma solo perché la fisicità dell'altro mi garantisce l'ingresso senza problemi in un gruppo di pari ......triste ma vero.. Solo lo sport e un'educazione familiare che rimanda sempre i ragazzi ai valori essenziali può salvarci da questa povertà di sentimenti. Complimenti per il post, fa molto riflettere.

Post popolari in questo blog

Aspettative: mettere a fuoco ciò che conta davvero

 “ " Liberarci dalle aspettative degli altri, per restituirci a noi stessi.” Queste parole della scrittrice americana Joan Didion sembrano racchiudere un segreto antico e potente, che riecheggia in ciascuno di noi quando ci troviamo intrappolati nel labirinto di ciò che dovremmo essere . È un invito, quello della  Didion, a ritornare al nucleo della nostra autenticità, a spezzare quelle catene invisibili fatte di approvazioni, giudizi e standard che, silenziosamente, ci allontanano da noi stessi. Le aspettative sono ingannevoli. All’inizio sembrano una bussola, un faro che ci guida verso ciò che desideriamo. Ma troppo spesso, anziché essere una forza propulsiva, diventano una trappola emotiva. Ci ritroviamo a inseguire ideali irrealistici, pensando che la felicità sia un premio da guadagnare, qualcosa che ci aspetta dopo . Dopo un successo, dopo un cambiamento, dopo un traguardo. E così, anziché vivere il presente, ci immergiamo in un continuo rimandare, inseguendo un’asticel...

Sempre la stessa scena: la vita nei circuiti invisibili dello schema

  "Porto addosso tutte le ferite delle battaglie che ho evitato". Fernando Pessoa coglie in queste parole una verità silenziosa e potente. Quelle battaglie che non abbiamo combattuto – per paura, per mancanza di strumenti, per amore – ci segnano comunque. Restano dentro di noi come impronte invisibili, trasformandosi in schemi disfunzionali: modi ripetitivi di pensare, sentire e reagire, che ci fanno inciampare sempre nello stesso punto, anche quando cambiano i luoghi e i volti. Questi schemi nascono quando, nell’infanzia, bisogni fondamentali come l’accoglienza, la protezione, la validazione o l’autonomia non vengono soddisfatti. In quei vuoti, impariamo strategie di sopravvivenza: essere perfetti per meritare amore, controllare per sentirsi al sicuro, annullarsi per essere accettati. Con gli anni, quelle strategie diventano copioni interiori che plasmano le nostre relazioni e il nostro modo di percepirci. Beck li ha chiamati “schemi cognitivi negativi”, Young li definisce...

Giustificarsi: la prigione invisibile del giudizio altrui

Nella ricerca continua di comprensione e approvazione, giustificarsi è diventato un riflesso, un tentativo costante di difendere la propria identità. Spesso, però, ciò nasconde una complessità psicologica legata al nostro bisogno di accettazione, persino da parte nostra. Giustificarsi è come aprire la porta al giudizio altrui, costruendo una prigione invisibile fatta di spiegazioni non richieste e ansie silenziose.  Perché sentiamo l’esigenza di giustificarci? Non si tratta solo di difenderci; in realtà, spesso cerchiamo di rassicurarci rispetto all'immagine che temiamo non venga accettata. Giustificarci diventa così una risposta al timore di essere giudicati o di non essere abbastanza, generando un circolo di vulnerabilità. C’è differenza tra spiegare e giustificarsi: mentre spiegare è comunicare con chiarezza, giustificarsi è una reazione all’ansia di giudizio, un doppio legame in cui, più cerchiamo di dimostrare la nostra innocenza, più sembriamo colpevoli. Una metafora calzante...