Passa ai contenuti principali

Resistere all' economia dell 'attenzione

Attention photo gbscavuzzo

 
"L'occhio della nostra mente si muove in una perenne danza fra l'attenzione catturata dagli stimoli esterni e la concentrazione diretta volontariamente su qualcosa." Questa affermazione, limpida e veritiera è di Daniel Goleman, famoso e celebre psicologo contemporaneo. Nel suo prezioso libro intitolato: Focus. Come mantenersi concentrati nell'era della distrazione, pubblicato nel  2014 da edizioni Bur, l'inventore della teoria sull'intelligenza emotiva già 8 anni fa intercettava un impoverimento dell'attenzione. 
 

L'attenzione in tutte le sue varietà rappresenta una risorsa poco  considerata e sottovalutata ma che riveste un ruolo determinante e incisivo rispetto al modo in cui affrontiamo la vita.

A mio avviso, è un tema sulla quale occorre soffermarsi e interrogarsi per comprendere un pezzo importante di noi, che magari diamo per scontato e invece occorre maggiore cautela e consapevolezza al fine di promuovere uno  stile di vita "ecologico". In questo articolo, cercherò di sollecitare delle riflessioni con l'obiettivo di stimolare  le vostre capacità attentive.

Quanto siamo consapevoli, oggi nell'era digitale,  di questo impoverimento dell'attenzione? Il colosso  Google ha determinato un algoritmo per  la nostra attenzione: il tempo massimo di concentrazione di un millennial ( chi oggi ha tra i 24 e i 39 anni) è di 9 secondi. Un secondo in più di un pesce rosso. Sulla base di questi dati , Google genera  contenuti e stimoli per sfruttare il tempo che trascorriamo sul web e monetizzarlo.

In realtà, dovremmo ricordarci che la  nostra attenzione  è la risorsa più raffinata  che abbiamo  e dobbiamo attivamente scegliere come utilizzarla. Ma non è così semplice come si pensa.  L'abuso di tecnologia sta riducendo progressivamente la nostra capacità di concentrarci e  la ostacola senza sosta. 

Pertanto , occorre sapere che la nostra attenzione è sempre stata limitata, preziosa e scarsa. Ma ciò che contraddistingue la nostra quotidianità  è che i progressi tecnologici hanno reso disponibile una quantità abnorme e considerevole  di informazioni, strategicamente mirate a catturare la nostra attenzione.

Quando navighiamo su Internet, in genere abbiamo in mente un obiettivo, come trovare una risposta a un quesito  o condurre una ricerca. Una volta ottenuto ciò che vogliamo, lasciamo il sito. Tuttavia, i social media ci mantengono sulla piattaforma più a lungo e vogliono di più.

Possiamo scrollare (clicca sulla parola e troverai il significato)senza sosta  sui social media e al termine di un video se ne presenterà automaticamente e puntualmente un 'altro sempre  nuovo. Tuttavia, quando concentriamo la nostra attenzione incollata ai nostri telefoni, rinunciamo ad altre opportunità .

Vi è chiaro che dietro alla nostra attenzione ci sono degli interessi di natura economica e non è una giovane novità perché ben 50 anni fa il termine  "economia dell'attenzione" fu  coniato dallo psicologo, economista e premio Nobel Herbert A. Simon, il quale ha postulato che l'attenzione fosse il "collo di bottiglia del pensiero umano" che limita sia ciò che possiamo percepire in ambienti stimolanti sia ciò che possiamo fare. L’informazione consuma attenzione. Quindi "l’abbondanza di informazione genera una povertà di attenzione e induce il bisogno di allocare quell’attenzione efficientemente tra le molte fonti di informazione che la possono consumare". In un contesto nel quale l’informazione è sovrabbondante, si assiste a una crescente scarsità di attenzione. Ha anche notato che "una ricchezza di informazioni crea una povertà di attenzione", e svelò  che il multitasking è un mito. 

Mentre continuiamo ad essere inondati  di stimoli che cercano di catturare la nostra attenzione, bisogna resistere all'economia dell'attenzione  iniziando   realmente a concentrarci quantomeno sul prestare attenzione a ciò a cui prestiamo attenzione. Un gioco di parole prestare attenzione a cui prestare attenzione che nasconde la complessità del problema.

Per coloro che vogliono approfondire il tema consiglio la lettura del libro di Bruno Patino, la memoria del pesce rosso, edizione Vallardi, dove l'autore  racconta gli effetti del mercato dell’attenzione.




Commenti

Salvo Manzone ha detto…
Grazie per questo articolo, che ha attirato tutta la mia "attenzione" :) Avevo sentito parlare dell'economia dell'attenzione, ma non ci avevo prestato attenzione ;) ora sarò più attento!

Post popolari in questo blog

Aspettative: mettere a fuoco ciò che conta davvero

 “ " Liberarci dalle aspettative degli altri, per restituirci a noi stessi.” Queste parole della scrittrice americana Joan Didion sembrano racchiudere un segreto antico e potente, che riecheggia in ciascuno di noi quando ci troviamo intrappolati nel labirinto di ciò che dovremmo essere . È un invito, quello della  Didion, a ritornare al nucleo della nostra autenticità, a spezzare quelle catene invisibili fatte di approvazioni, giudizi e standard che, silenziosamente, ci allontanano da noi stessi. Le aspettative sono ingannevoli. All’inizio sembrano una bussola, un faro che ci guida verso ciò che desideriamo. Ma troppo spesso, anziché essere una forza propulsiva, diventano una trappola emotiva. Ci ritroviamo a inseguire ideali irrealistici, pensando che la felicità sia un premio da guadagnare, qualcosa che ci aspetta dopo . Dopo un successo, dopo un cambiamento, dopo un traguardo. E così, anziché vivere il presente, ci immergiamo in un continuo rimandare, inseguendo un’asticel...

Sempre la stessa scena: la vita nei circuiti invisibili dello schema

  "Porto addosso tutte le ferite delle battaglie che ho evitato". Fernando Pessoa coglie in queste parole una verità silenziosa e potente. Quelle battaglie che non abbiamo combattuto – per paura, per mancanza di strumenti, per amore – ci segnano comunque. Restano dentro di noi come impronte invisibili, trasformandosi in schemi disfunzionali: modi ripetitivi di pensare, sentire e reagire, che ci fanno inciampare sempre nello stesso punto, anche quando cambiano i luoghi e i volti. Questi schemi nascono quando, nell’infanzia, bisogni fondamentali come l’accoglienza, la protezione, la validazione o l’autonomia non vengono soddisfatti. In quei vuoti, impariamo strategie di sopravvivenza: essere perfetti per meritare amore, controllare per sentirsi al sicuro, annullarsi per essere accettati. Con gli anni, quelle strategie diventano copioni interiori che plasmano le nostre relazioni e il nostro modo di percepirci. Beck li ha chiamati “schemi cognitivi negativi”, Young li definisce...

Giustificarsi: la prigione invisibile del giudizio altrui

Nella ricerca continua di comprensione e approvazione, giustificarsi è diventato un riflesso, un tentativo costante di difendere la propria identità. Spesso, però, ciò nasconde una complessità psicologica legata al nostro bisogno di accettazione, persino da parte nostra. Giustificarsi è come aprire la porta al giudizio altrui, costruendo una prigione invisibile fatta di spiegazioni non richieste e ansie silenziose.  Perché sentiamo l’esigenza di giustificarci? Non si tratta solo di difenderci; in realtà, spesso cerchiamo di rassicurarci rispetto all'immagine che temiamo non venga accettata. Giustificarci diventa così una risposta al timore di essere giudicati o di non essere abbastanza, generando un circolo di vulnerabilità. C’è differenza tra spiegare e giustificarsi: mentre spiegare è comunicare con chiarezza, giustificarsi è una reazione all’ansia di giudizio, un doppio legame in cui, più cerchiamo di dimostrare la nostra innocenza, più sembriamo colpevoli. Una metafora calzante...